Maggioranza qualificata se il condomino innova
In ambito condominiale, spesso capita di incontrare il termine “innovazione” soprattutto durante le assemblee condominiali.
Premesso che l’art. 1102 Codice Civile disciplina l’uso della cosa comune, prevedendo che ciascun partecipante possa servirsene, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, in proposito l’art. 1120 del Codice Civile indica quali innovazioni possano essere adottate in sede assembleare con la maggioranza dei partecipanti al condominio che rappresentino almeno i due terzi dei millesimi e quali innovazioni, invece, siano vietate.
Circa queste ultime, le prossime settimane vedremo nello specifico a cosa il Legislatore si riferisca e come la Giurisprudenza abbia interpretato la norma del Codice Civile.
Il termine innovare significa letteralmente: modificare introducendo elemento di novità.
Tuttavia, il Codice non fornisce una definizione precisa di innovazione lasciando il compito all’interpretazione della Giurisprudenza.
La Corte di Cassazione, infatti, definendo il concetto di innovazione, afferma: “Costituisce innovazione qualsiasi opera nuova che altresì, in tutto o in parte, nella materia o nella forma ovvero nella destinazione di fatto o di diritto, modifichi la cosa comune, eccedendo il limite della conservazione, dell’ordinaria amministrazione e del compimento della cosa, e che importi una modificazione materiale della forma o della sostanza della cosa medesima, con l’effetto di migliorarne o peggiorarne il godimento o, comunque, alterarne la destinazione originaria con conseguente implicita incidenza sull’interesse di tutti i condomini, i quali debbono essere liberi di valutare la convenienza dell’innovazione, anche se sia stata programmata ad iniziativa di un solo condomino che se ne assuma tutte le spese. Non sono, invece, innovazioni, tutti gli atti di maggiore e più intensa utilizzazione della cosa comune, che non importino alterazioni o modificazioni della stessa e non precludano agli altri partecipanti la possibilità di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggiore uso del condomino che abbia attuato la modifica.” [Cassazione civile , sez. II, 14 febbraio 1980, n. 1111]
Si comprende, quindi, che le innovazioni, per essere tali, debbano consistere in opere di trasformazione tale da alterare l’originaria destinazione del bene e da incidere in modo assolutamente rilevante sull’interesse di tutti i condomini.
All’atto pratico, quando degli interventi possano assumere le caratteristiche di innovazione, proprio perché comportano una trasformazione ed alterazione del bene comune, devono essere approvati in sede di assemblea condominiale con un numero di voti che rappresenti la maggioranza del condominio e i 2/3 del valore millesimale dell’edificio.
La ragione per cui il Legislatore richiede maggioranze qualificate perché l’assemblea condominiale possa approvare le innovazioni risiede nel fatto che la relativa spesa deve essere sopportata dall’intero condominio e suddivisa tra i vari condomini in ragione delle singole quote millesimali di proprietà, quindi occorre che almeno una larga maggioranza, i 2/3 del valore millesimale, sia favorevole all’intervento da praticare.
© Avv. Michele De Bellis, 3 giugno 2008,