Lavoro subordinato e mobbing
Un Lettore riferisce di svolgere le proprie mansioni presso una azienda in qualità di lavoratore subordinato e lamenta di aver subito recentemente un’aggressione verbale da parte del datore di lavoro.
Lo stesso chiede se tale comportamento del datore di lavoro sia configurabile come mobbing.
Sul punto, una recente pronuncia della Corte di Cassazione rileva che per mobbing si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio da parte del superiore gerarchico ( Cass. Civ. 12048/11, mass. in resp civ e prev).
Ciò posto, in considerazione del fatto che il Lettore riferisce di aver subito un singolo comportamento ostile da parte del datore di lavoro, rappresentato da una unica aggressione verbale, si può ragionevolmente concludere che tale condotta non sia sufficiente a configurare un caso di mobbing nei confronti del Lettore medesimo.
© Avv. Michele De Bellis, 21 aprile 2012,