Strade dissestate: l’ente è responsabile per i danni subiti dagli utenti
La responsabilità delle Pubblica Amministrazione in ordine ai danni provocati agli utenti dalla scarsa manutenzione delle strade è sempre stato un argomento molto dibattuto, che ha visto una progressiva evoluzione giurisprudenziale nel corso degli anni.
Le norme richiamate sono l’art. 2051 del Codice Civile, rubricato “Danno cagionato da cose in custodia”, che recita “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.” e l’art. 2043 del Codice Civile, rubricato “Risarcimento per fatto illecito”, che prevede che “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Mentre con il più generico art. 2043 il danneggiato deve provare la responsabilità in capo alla Pubblica Amministrazione del fatto dannoso, con l’art. 2051 la responsabilità della Pubblica Amministrazione ha carattere oggettivo e, “perché tale responsabilità possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, per cui tale tipo di responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito” (Cassazione n. 15383/2006).
Secondo una giurisprudenza ormai datata, alla Pubblica Amministrazione non sarebbe applicabile l’art. 2051, dovendosi invece riconoscere, in favore dell’utente danneggiato dall’utilizzo di beni demaniali a causa dell’omessa od insufficiente manutenzione delle strade pubbliche, l’applicabilità, unicamente ed esclusivamente, del generale principio di cui all’art. 2043 del Codice Civile.
In tale contesto, la giurisprudenza ha quindi elaborato la figura dell’insidia o trabocchetto, inizialmente intesa quale mero elemento sintomatico dell’attività colposa dell’amministrazione, che in seguito è stata rielaborata come indice tassativo della responsabilità della Pubblica Amministrazione.
Successivamente, la giurisprudenza ha invece iniziato a ritenere configurabile, nei confronti della Pubblica Amministrazione, la responsabilità per danni da cose in custodia, di cui al citato art.2051 del Codice Civile, in ordine ai danneggiamenti subìti a seguito dell’utilizzo di strade pubbliche.
A partire dal 2006, poi, in giurisprudenza è ormai pacifico che incomba sulla Pubblica Amministrazione un vero e proprio dovere di custodia ex art. 2051 del Codice Civile, salvo che la stessa riesca a dimostrare in concreto l’avvenuta adozione di tutte le misure idonee ad evitare l’evento dannoso occorso e, pertanto, il verificarsi del danno nonostante il pieno adempimento a suoi doveri, ovvero l’oggettiva impossibilità di eseguire la vigilanza connessa alla custodia, oppure l’oggettiva impossibilità di effettuare interventi di manutenzione volti ad evitare situazioni di pericolo o, almeno, di segnalare queste ultime, a nulla rilevando l’estensione del bene e la sua accessibilità da parte della generalità delle persone.
Se, quindi, la Pubblica Amministrazione è ormai pacificamente investita del dovere di custodia, quali sono gli oneri in capo alla stessa?
La Pubblica Amministrazione, per legge, è proprietaria delle strade pubbliche ed è obbligata ad esercitare una regolare manutenzione sulle stesse al fine di mantenerle in stato di normale utilizzabilità.
Non solo, il Regio Decreto 2506/1923, per quanto concerne i Comuni, prevede che gli stessi provvedano “alla manutenzione ordinaria e straordinaria” delle strade comunali.
Infine, il Codice della Strada, all’art 14, testualmente recita “Gli enti proprietari delle strade allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione provvedono: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo nonché delle attrezzature; impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e delle relative pertinenze; c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta”.
Nella pratica quotidiana, in quali casi è ravvisabile un dovere di custodia, con la relativa responsabilità ex art. 2051 del Codice Civile, in capo alla Pubblica Amministrazione?
Intanto, indice di possibilità di un effettivo controllo, presupposto per l’applicazione dell’art. 2051, su di una strada comunale è che la stessa si trovi all’interno del perimetro del centro abitato, (e pluribus, Corte di Cassazione n. 23924 del 2007, n. 8377 del 2009).
Poi, l’Ente è responsabile nel caso in cui la presenza di lavori di manutenzione e di eventuali anomalie del manto stradale, come la presenza di un tombino sporgente, non sia stata puntualmente segnalata (Corte di Cassazione n. 11709 del 2009).
Vi è responsabilità anche nel caso di un pedone caduto in una buca della strada non segnalata e resa invisibile, poiché coperta dall’acqua piovana.
Così, anche il pedone che inciampa a causa di una sconnessione dovuta alla presenza su di un marciapiede di un tombino sconnesso ha diritto ad essere risarcito ex art. 2051 c.c. (Tribunale Milano n. 74/2009).
Infine, visto che spesso le strade ove accadono i sinistri sono soggette a manutenzione, si segnala che il Comune, in quanto proprietario della strada, rimane comunque responsabile anche per i danni cagionati in appalto, così come avviene per la responsabilità del proprietario di un immobile per i danni a terzi, il quale non cessa di averne la materiale disponibilità neppure per averne pattuito in appalto la ristrutturazione, salvo che dimostri il totale affidamento all’appaltatore.
Quindi non vi sarebbero ragioni ostative in ordine all’esercizio di un’azione diretta del danneggiato nei confronti della Pubblica Amministrazione, in quanto proprietaria della strada.
Così la Corte di Cassazione sul punto: “La responsabilità presunta del Comune quale proprietario del demanio stradale per danni a terzi non viene a cessare per averne l’ente affidato la pulizia a terzi, costituendo l’appalto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione di un proprio obbligo istituzionale a norma dell’art. 14 c.strad.”. [Cassazione civile sez. III – 23 gennaio 2009 n. 1691]
© Avv. Michele De Bellis, 17 giugno 2009,