L’alienazione parentale
Il genitore collocatario induce il figlio minore a non intrattenere rapporti con l’altro genitore: è reato.
La separazione dei coniugi può avere gravi conseguenze sul rapporto del minore con i genitori.
In taluni casi si può parlare di sindrome di alienazione parentale, cioè una forma di disagio psicologico che affligge il genitore affidatario che ritiene controproducente, se non pericoloso, il rapporto dei figli con l’altro genitore con la conseguenza che il minore può arrivare a nutrire e dimostrare astio e disprezzo nei confronti dell’altro genitore.
In tema di separazione dei coniugi, in caso di gravi inadempienze e di violazioni dei provvedimenti sull’affidamento dei figli minori da parte dell’altro genitore, ovvero di condotte pregiudizievoli per i minori stessi, può essere applicata una sanzione coercitiva, volta ad indurre il responsabile a recedere dall’illecito, e può essere disposto dal giudice anche congiuntamente alle altre misure punitive previste dalla stessa disposizione.
Tale principio è stato espresso dal Tribunale di Messina con pronuncia del 2007 nella sentenza di separazione dei coniugi con cui ha inflitto ad un genitore una sanzione amministrativa, condannandolo anche al risarcimento dei danni in favore del figlio minore, in quanto avrebbe volontariamente indotto quest’ultimo ad avversare l’altro genitore, così però determinando l’insorgere nel figlio di una patologia psichiatrica, la sindrome di alienazione parentale, appunto.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione è andata oltre, confermando la condanna penale di un genitore che, in palese spregio ai provvedimenti del giudice, ha messo la figlia minore contro l’altro genitore, inducendola a rifiutare ogni rapporto con quest’ultimo.
Sul punto, infatti, il giudice aveva evidenziato il notevole condizionamento psicologico esercitato dal genitore sulla figlia minore affidata, determinando così nella minore il rifiuto a coltivare un equilibrato rapporto con l’altro genitore, tanto da configurare l’illecito di cui all’art. 388 comma 2 del codice penale.
© Avv. Michele De Bellis, 15 ottobre 2011,